Oggi parliamo della dieta carnivora, una dieta a base di proteine e di diete estreme in generale.
Fanno bene alla performance?
Fanno bene alla performance?
Ultimamente si sente parlare della dieta carnivora. L'avete provata? È efficace? Avete riscontrato effetti indesiderati? Cerchiamo di approfondire l'argomento, provando a riflettere sull’utilità o meno di regimi alimentari molto restrittivi e vincolanti in generale, ed in particolare in ambito sportivo.
La dieta carnivora è molto semplice. Prevede l’assunzione di cibi di origine esclusivamente animale come carne, pesce e uova, eliminando vegetali di vario genere come frutta, verdura, cereali, frutta secca e legumi. Esiste la possibilità di assumere latticini, data sempre la chiara origine animale, escludendo però tutti quei prodotti lattiero caseari ad elevata concentrazione di lattosio come latte e yogurt ma preferendo formaggi stagionati e burro.
Già, ma quanto bisogna mangiare durante i pasti? Come devo distribuire i vari pasti nel giorno?
Tutto molto semplice: basta seguire il senso di sazietà ed assumere gli alimenti indicati in base alle nostre sensazioni personali, senza neanche badare alla ciclicità o ripetizione dei cibi.
Capitolo a parte per le bevande. Niente bevande che non siano acqua o brodo. Da qui non si scappa.
Ma farà bene tutto questo? È difficile dare un’interpretazione univoca quando soprattutto mancano studi scientifici specifici che descrivono sul lungo periodo gli effetti di un determinato piano alimentare su un numero abbastanza ampio di partecipanti. Le considerazioni si basano sulle evidenze scientifiche legate a singoli aspetti.
Un piano dietetico così squilibrato soprattutto a favore della componente proteica, potrebbe essere utile per il controllo del peso, fermo restando l’utilizzo di porzioni ragionevoli degli alimenti. Il maggiore introito proteico è di per sé un buon punto di partenza per valutare come efficace un piano alimentare rivolto alla perdita di peso visto il maggior potere termogenico che scaturisce da una più articolata digestione dei legami peptidici rispetto a grassi e carboidrati, nonché il relativo aumento del senso di sazietà dopo un pasto. Relativamente invece alla possibilità di generare il quadro della chetosi, così utile per aumentare il consumo di riserve di lipidi erose dalla massa grassa del soggetto, ci sentiamo di escluderla; alcuni amminoacidi infatti possono essere trasformati in glicogeno dall’organismo in situazioni particolari di necessità, impedendo ai corpi chetonici di originarli. Per questo motivo la chetosi si genera anche tenendo sotto controllo l’apporto proteico nella dieta e non solo quello di carboidrati.
Lo sportivo, a livello di performance e di benessere, trarrebbe sicuramente vantaggi da alimenti simili ma avrebbe anche una evidente necessità di adattarsi, specie per alcune determinate discipline sportive, al nuovo regime.
Lo sportivo che pratica endurance, ad esempio, si troverà necessariamente costretto a modificare le proprie abitudini e a dover superare un primo inevitabile periodo di adattamento biochimico, spostando i propri equilibri metabolici più verso la combustione dei lipidi che non quella di carboidrati anche a parità di intensità di sforzo profuso. Questo periodo potrebbe essere più o meno lungo, andando da alcuni giorni fino ad un mese generalmente. Altra difficoltà potrebbe essere legata alla disponibilità di sali minerali e vitamine, soprattutto quando le quantità di liquidi persi con il sudore si dovessero fare importanti.
Siamo sicuri di riuscire a ripristinare tutte le quantità richieste, soprattutto sul lungo periodo, senza rischiare disequilibri o carenze idro-saline, senza assumere frutta e verdura alcuna? Purtroppo non ci sono risposte certe a questi dubbi.
Questi adattamenti sarebbero certamente più morbidi nel caso in cui si tratti di sport di forza, esplosivi, di contatto e/o ad alta intensità e breve durata, rendendo quindi la scelta di utilizzare questo regime decisamente più facile e magari anche utile per il mantenimento della funzionalità del tessuto muscolare.
In termini assoluti ci chiediamo come, soprattutto in mancanza di un nutrizionista specializzato che segua il paziente durante il percorso, sia possibile beneficiare di un piano alimentare così particolare, senza abusare delle quantità di cibo libero ma al contrario attenendosi al senso di sazietà ed al buonsenso personale.
I rischi senza dubbio sono dietro l'angolo. Soprattutto se ci dovessimo trovare di fronte a soggetti predisposti geneticamente a determinati quadri patologici, un simile squilibrio di macro e micronutrienti non sarebbe indicato, specie se protratto per lunghi periodi. À rischiare maggiormente potrebbero essere le funzionalità renali ed epatiche nonché l’aumento dei fattori di rischio cardiovascolare, di infiammazione generalizzata e di aumento della concentrazione di radicali libero.
Insomma, siamo di fronte ad un eccesso che potrebbe presentare più rischi che benefici. Certamente non sarebbe negativo proporre delle giornate “alternative” al nostro schema alimentare, ricche magari di alcuni alimenti piuttosto che altri, ma l’obiettivo di mantenere un equilibrio costante, soprattutto considerando il medio-lungo periodo, dovrebbe a nostro avviso rimanere ben presente nella prospettiva del singolo e del nutrizionista.