Troppe volte ormai si leggono e rileggono necrologi difficili da accettare, protagonisti dei quali sono semplici ciclisti, spesso colpevoli solamente di peccare di passione.
Troppe volte ormai si leggono e rileggono necrologi difficili da accettare, protagonisti dei quali sono semplici ciclisti, spesso colpevoli solamente di peccare di passione.
Morti celebri, morti sconosciuti, giovani, giovanissimi, adulti, professionisti, morti annunciate e morti inaspettate, morti senza colpevoli.
Il tema della sicurezza in sella alla propria bici è un argomento così vasto e diversificato che non basterebbero neanche diversi articoli per trattare tutti i diversi aspetti implicati. Un dato di fatto però è chiaro a tutti ed è il motivo per cui ci preme trattare il tema e contribuire nel nostro piccolo: non possiamo lasciar cadere così tante morti nel dimenticatoio scrollandoci il problema di dosso e declassando il tutto a semplice “casistica” delle morti stradali.
La bicicletta è un mezzo e come tale ci permette di coprire distanze lunghe in tempi più brevi e con minor dispendio energetico rispetto a camminare o correre. Andrebbe utilizzato maggiormente non soltanto per praticare sport ma anche per uso quotidiano; ne gioverebbe il pianeta e noi stessi.
All’aumentare della velocità aumenta il rischio e la gravità dell’infortunio qualora dovesse presentarsi l’incidente, appare ovvio. Come ogni cosa ovvia però il rischio è di darla per scontata e poi successivamente sottovalutare il problema.
Immaginate di avere in mano una bottiglia di plastica e di lasciarla cadere per terra sul pavimento. Al massimo si sporcherà o, nella peggiore delle ipotesi, subirà una lieve ammaccatura facilmente ripristinabile. Pensate ora se, salendo i piani di un palazzo, si lascia cadere la stessa bottiglia da piani via via sempre più alti; L’effetto finale sarebbe certamente peggiore al salire dei piani, fino ad eventi definitivi di rottura senza possibilità di intervento.
Lo stesso accade con il nostro fisico all’aumentare della velocità se dovessimo avere un qualsiasi genere di impatto.
Cadendo mentre si cammina, si corre o si passeggia in bici a 15km/h potrebbe capitare al massimo di riportare delle escoriazioni o, nella peggiore delle ipotesi, subire traumi contusivi. Al crescere della velocità aumenta l’effetto dell’impatto, ma nella bici c’è una variabile in più rispetto al nostro esempio della bottiglia; Nel caso della bottiglia il pavimento era sempre la componente fissa del sistema. Per pedoni o peggio ancora ciclisti, il pavimento, tradotto l’auto contro cui potremmo andare a scontrarci, è anch’essa in movimento, molto spesso con velocità elevata e, nella peggiore delle ipotesi, anche diretta in senso contrario al nostro. Capite bene allora quanto sia amplificabile l’effetto negativo di un impatto.
Il casco protegge? Si. Ma solo per impatti fino a 25-30km/h, per i quali è realmente omologato e solo per la testa, ovvero il cranio nella sua porzione superiore e posteriore.
Non vorremmo mai togliere il piacere della velocità ad un ciclista appassionato che vuole sfrecciare in testa al proprio gruppo di amici, ma vogliamo rendere la questione ancora più visibile, ancora più presente nella mente di tutti, ciclisti ed automobilisti.
Come detto di discussioni ne potrebbero nascere tantissime, legate al legislatore, all’amministrazione pubblica che verifica la sicurezza del manto stradale, agli organi di controllo per la valutazione di distanze di sicurezza e spazi della sede stradale stessa, alla regolamentazione del materiale utilizzato e quant’altro. Il vero scatto lo faremo però quando tutti saremo pronti e disposti a concentrarsi sul nostro operato prima ancora che focalizzarsi sulle responsabilità altrui; quando il ciclista è concentrato sulla sua traiettoria, sul suo mezzo, sulle sue regole da rispettare, e parimenti il conducente di auto, moto o tir, è presente e concentrato sul proprio mezzo, la propria sede stradale, le proprie norme da rispettare relative all’uso di cellulare, distrazioni, velocità e sicurezza, allora la convivenza sullo stesso percorso risulta innocua.
E’ possibile poi focalizzare l’attenzione su tutto ciò che possa far crescere l’attenzione personale e reciproca. Certamente chi utilizza il mezzo bici, per suo conto, dovrebbe sempre preoccuparsi dell’efficienza della propria bicicletta e di tutti i suoi sistemi di sicurezza. Alcuni studi di statistica, ad esempio, dimostrano come l’attenzione non solo del ciclista ma anche dei conducenti di mezzi, aumenti all’aumentare del numero di ciclisti presenti in carreggiata, sempre che si stia parlando di ciclismo su strada. In questi casi il gruppo di ciclisti dovrebbe essere altrettanto rispettoso della normativa stradale così da non rendere difficoltoso il transito dei mezzi, mantenendo la fila indiana se fuori dai centri abitati e, solo in situazioni di sicurezza, affiancarsi in un massimo di due bici ma solo all’interno dei centri urbani. Inoltre, se il gruppo fosse di un numero elevato di unità, sarebbe buona norma farsi seguire da un'auto “ammiraglia” sempre presente alla segnalazione e di supporto al gruppo in qualsiasi frangente.
Allo stesso tempo sarebbe opportuno per chi guida un mezzo a motore mantenere una distanza di almeno un metro e mezzo dal ciclista in fase di sorpasso. Considerate infatti che il ciclista è la parte debole, più esposta e con solo due ruote di appoggio. Uno spostamento d’aria, se il sorpasso è effettuato a velocità sostenuta ed è ravvicinato, può far perdere l’equilibrio facilmente.
L’effetto, per rendere l’idea a chi non è un ciclista, è quello del treno che passa in stazione. Nei binari ci sono delle linee che delimitano la distanza di sicurezza proprio a causa dello spostamento d’aria, stesso discorso vale per bici e mezzi.
Insomma, tutti dobbiamo fare maggiore attenzione considerando che in gioco non ci sono categorie differenti ma vite umane.